Ruote Perdute: Porsche 9R3, il fantasma di Weissach

La sedicesima sinfonia di Porsche

Stoccarda, estate 1998.  In casa Porsche tutto funzionava secondo i piani. L’eco della vittoria di giugno alla 24 ore di Le Mans ancora non si era sopito e poco importava che le 911 GT1-98 non avessero colto altrettanta gloria nelle gare di campionato FIA GT: Le Mans da sola valeva il torneo. Il trionfo colto da Aiello, Ortelli e McNish era anche un ottimo modo per lavare l’ “onta” dei due anni precedenti, quando le vetture ufficiali della casa erano state battute dalla TWR-Porsche della Joest Racing. Una figliastra che di Porsche aveva solo il motore visto che il telaio era addirittura derivato da da una Jaguar XJR-14 del 1992 privata del tetto. Dalle parti di Zuffenhausen la doppia affermazione non era stata metabolizzata benissimo, ma ormai si trattava di acqua passata. Era giunta ora di guardare al futuro visto che dall’anno 2000 le GT1 avrebbero lasciato il posto alle nuove LMP, vere auto nate per le corse e non più prototipi camuffati da Gran Turismo. E in casa Porsche ovviamente non si era perso tempo. (a seguire una breve sintesi della 24 ore 1997)

Un nuovo progetto

In quei giorni era in corso la progettazione della nuova «arma» per la stagione 2000, nome in codice 9R3. La vettura si basava sulle norme redatte dall’ACO che avrebbero regolato la nuova classe «top» della 24 ore con le barchette LMP a giocarsi il prestigioso alloro. Come sempre quando si tratta di progetti tanto importanti il “gran segreto” porta con sé un mare di ipotesi, illazioni e speculazioni. Ovviamente la stampa specializzata iniziò ben presto a parlare del nuovo progetto col nome di «LMP2000» ma, come previsto, da Stoccarda i vertici della casa ne avrebbero negato l’esistenza anche sotto tortura. In realtà la vettura stava rapidamente prendendo forma in quel di Zuffenhausen.

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Il deludente V12 Porsche montato sulla Footwork Arrows FA12 di Formula 1 per la stagione 1991 (Thanks to UltimateCarPage.com)

Un motore da riciclo per una nuova barchetta

Si sarebbe trattato della prima barchetta con telaio in fibra di carbonio progettata internamente e nei piani iniziali doveva essere spinta da una versione ampiamente rivista e corretta per uso agonistico del motore sovralimentato a 6 cilindri contrapposti che equipaggiava la Porsche 911 stradale. Nonostante una tecnologia ben consolidata per la casa fu proprio il propulsore a creare i maggiori problemi. I tecnici si resero ben presto conto che la scelta di quel «cuore» per la vettura causava enormi problemi di peso, bilanciamento e raffreddamento, oltre a costringere ad una serie di compromessi nelle forme della vettura che male si adattavano alle prove in galleria del vento. La scelta ricadde così su un altro progetto che era in naftalina a casa Porsche, ovvero il 10 cilindri da 3,5 litri e V di 68° sviluppato anch’esso segretamente nel 1991 per sostituire la stagione seguente il deludente V12 montato sulle Footwork Arrows FA12 di Formula 1. Un progetto abortito che, rivisto e corretto, tornava utile per la nuova barchetta! Prima di tutto venne aumentata la corsa e aggiustato l’alesaggio per portare la cilindrata ad un valore compreso tra i 5 ed i 5,5 litri. Tenendo conto delle norme imposte sui restrittori dell’aspirazione che impedivano il raggiungimento di regimi particolarmente elevati si prese una decisione radicale: via il complesso comando pneumatico della distribuzione! Un propulsore per l’endurance doveva essere prima di tutto affidabile e di facile manutenzione ed i tecnici Porsche raggiunsero l’obiettivo mettendo anche sul piatto un buon valore di potenza massima: circa 700 CV a 10.000 giri/min. Unendo a tutto ciò anche una notevole rigidità di insieme che permise un nuovo disegno degli attacchi al telaio e delle sospensioni posteriori si intuisce come la «bomba» stesse prendendo velocemente forma.

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Il modello della 9R3 pronto per le prove in galleria del vento (Copyright Porsche – Thanks to Mulsanne’s Corner)

La sentenza di Stoccarda

Zuffenhausen, maggio 1999. La progettazione della 9R3 era completata ma dai vertici di Stoccarda arrivò la doccia fredda: il programma sarebbe stato cancellato! Nonostante la nuova vettura fosse «kaput» ancora prima di nascere, la dirigenza diede comunque il via al montaggio della barchetta con una scelta che lasciava perplessi in quel momento, ma non c’era margine di trattativa con il CDA della casa. Nei mesi successivi non ci si limitò solamente all’assemblaggio ma si procedette anche al collaudo della biposto. Nel novembre 1999 i piloti ufficiali Allan McNish e Bob Wollek si alternarono ai comandi della 9R3 per due giorni sulla pista privata della Porsche in quel di Weissach, lontano da occhi ed orecchie indiscrete. Lo scozzese e l’alsaziano uscirono più che soddisfatti dall’abitacolo della nuova nata, ma la loro opinione contava poco più di nulla per le sorti di un’auto che doveva sparire, inghiottita da un buio più nero della sua pelle di carbonio. Ma cosa aveva spinto i vertici a negare addirittura l’esistenza di una vettura così promettente?

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Bob Wollek al volante della 9R3 nelle prove sulla pista di Weissach (Copyright Mulsanne’s Corner)

Moventi e mandanti

L’ipotesi più solida e realistica si basava sulla necessità da parte di Porsche di impiegare risorse umane ed economiche sul progetto del SUV «Cayenne» prossimo al lancio su cui la casa rivestiva enormi speranze di profitto. L’idea di eliminare un programma sportivo per favorire lo sviluppo di un mezzo come la Cayenne procura ad oggi sincero disgusto ad ogni vero amante dell’automobilismo, ma la situazione era probabilmente molto più intricata di quanto non apparisse. Pochi mesi prima infatti l’Audi aveva dato il via alla sua avventura a Le Mans cogliendo con le barchette R8R un lusinghiero terzo e quarto posto al termine delle 24 ore. In tale contesto si parlò di un accordo, ovviamente mai reso pubblico, tra il presidente ed amministratore delegato Porsche Wendelin Wiedeking e l’ingegner Ferdinand Piech, potentissimo presidente di Audi-Volkswagen, per evitare una guerra «fratricida» tra due marchi facenti capo allo stesso gruppo. La Porsche avrebbe rinunciato a concorrere alla 24 ore con la 9R3, in cambio Audi-Volkswagen avrebbe fornito ai tecnici di Stoccarda tutte le risorse necessarie a completare il progetto Cayenne. Scatenando il gaudio nelle sedi del CDA.

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Porsche Cayenne prima serie (Copyright Motor1)

Vittorie in pista e nelle vendite

Solo supposizioni o solida realtà? Difficile saperlo dai diretti interessati, di fatto l’anno successivo l’Audi iniziò un dominio alla Sarthe che sarebbe stato interrotto solo sporadicamente per i successivi quindici anni, mentre la Porsche Cayenne diventò un grande successo commerciale facendo nascere un nuovo segmento di SUV ad altissime prestazioni. Condividendo, non casualmente, una bella fetta di componenti con le «cugine» Volkswagen Touareg e Audi Q7. Ma quindi perché si era proceduto comunque alla costruzione ed al collaudo di una vettura complessa e dispendiosa come la 9R3? I tedeschi non hanno certo nel loro DNA l’assenza di pianificazione e la risposta giunse velocemente.

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Porsche Carrera GT: un capolavoro nato a Stoccarda (Copyright Porsche)

La metamorfosi

Marzo 2000, salone dell’automobile di Ginevra. La Porsche attira l’attenzione del mondo portando nella sua area espositiva una «concept car» unica per bellezza e contenuti tecnici. Il nome? Porsche Carrera GT. Il cuore? Un 10 cilindri disposti a V con angolo tra le bancate di 68° da 5,7 litri di cilindrata e 612 CV, il più grande e potente allora mai costruito dalla Porsche. Ovvero quello preparato per la 9R3, alloggiato in un telaio in carbonio realizzato dalla italiana ATR con due posti secchi e un piccolo bagagliaio anteriore. Una vera «bomba» che riscosse un successo tale da costringere la casa a produrla in una serie di 1270 esemplari. Operazione quest’ultima resa possibile grazie alle risorse ottenute con il successo della Cayenne. Un cerchio che si chiudeva? Sì, anzi no. Restava un conto da regolare in pista con i colleghi di Audi Sport che stavano facendo di Le Mans una loro riserva di caccia. E a Zuffenhausen non si era mai smesso di lavorare.

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Una Porsche RS Spyder del Penske Racing impegnata sulle piste americane (Thanks to FranceSlotForum.com)

La rivincita

Dal V10 della 9R3 i tecnici del reparto corse ricavarono un più ridotto 8 cilindri che nel 2006 andò ad equipaggiare una nuova biposto da corsa ribattezzata Porsche RS Spyder. Non si trattava di un prototipo della classe regina LMP1, bensì di una vettura della classe cadetta LMP2 che avrebbe corso principalmente nella American Le Mans Series con due esemplari schierati dalla Penske Racing. Nulla che potesse quindi impensierire le potenti Audi R10 TDI di classe P1, regine non solo alla Sarthe ma anche oltreoceano. Almeno sulla carta, almeno per non impensierire i CDA delle due case imparentate. Peccato però che la piccola Porsche non sapesse nulla di politica grazie alla sua maggiore agilità frutto di un peso inferiore iniziò a volare sui toboga misto-veloci del Nord America. Il risultato? Pole position e vittorie assolute a raffica, tanto da battere anche la «Signora degli Anelli». E nel 2008 la vendetta si compì definitivamente con la vittoria nella 12 Ore di Sebring battendo non solo Audi ma anche la nuova rivale Peugeot 908 HDi FAP (a seguire il finale della 12 ore di Sebring 2008).

Il ritorno

A fine 2011 i vertici del gruppo avrebbero finalmente dato il via libera alle ambizioni Porsche e dal 2014 grazie alla 919 Hybrid anche dominio Audi in quel di Le Mans sarebbe stato spezzato. Porsche si sarebbe nuovamente affermata sia alla Sarthe che nel Mondiale Endurance ma questa è un altra storia, per dirla alla Lucarelli. A noi piace molto più pensare che la 9R3, uccisa dalla ragion di stato ancor prima di nascere, sia stata vendicata da un piccolo prototipo che non doveva impensierire le dominatrici a quattro cerchi. Perché in fondo tutti non vediamo l’ora che un nuovo «Davide» ci ricordi come ogni «Golia» possa essere battuto.

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Le forme filanti della 9R3 mai apparse in gara (Copyright Porsche)

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